L’Intervista a Rosy
Neo Allieva Metodo Feldenkrais e Pattinatrice sul Ghiaccio
Chi è Rosy
Rosy – devo ricordarmi di chiederle se è un diminutivo e di quale nome – quando le ho chiesto di dov’è, dove abita, mi ha detto Gorgonzola, il paese che ha dato il nome al formaggio e non viceversa, ci tiene a precisare.
Non ho controllato su web, una cosa che mi piace davvero poco, e dunque ci credo.
In realtà mi ha rivelato, se ho capito bene, che la genesi del nome è latina, Curte Argentia, mi piace perché ha un bel suono cristallino.
Un mio parente di Milano, e quale meridionale non ha un parente a Milano, mi ha invece detto che secondo alcune recenti ipotesi il nome deriverebbe dalla dea Concordia, mutato poi in Corcondiola e infine in Gorgonzola. Anche questo non è niente male.
Rosy vive dunque “in un paesino a venti chilometri da Milano anche se sono nata e vissuta a Milano, da genitori e nonni milanesi, sposata con un altro milanese come me… ormai sono un esemplare raro”.
A essere sincero Rosy non ha quasi niente dell’archetipo milanese – al netto dell’ariùs, che poi sarebbe la cadenza di chi vive fuori Milano, questo sì che l’ho scoperto su web, o forse me l’ha rivelato Roberta? Chissà! – almeno per come la vedo io.
Tuttavia, come ogni milanese organizzato e indaffarato anche Rosy programma al meglio ogni attività, per ogni giorno e a ogni ora.
Faccio un esempio: alle 17 telefonata a Francesco, non più di dieci minuti perché subito dopo deve andare all’isola ecologica che altrimenti chiude.
Sottolinea che dove vive lei i rifiuti ingombranti vengono portati in discarica al contrario di noi romani.
Ho provato a dirle che anche noi portiamo i nostri rifiuti ingombranti nelle discariche milanesi, insomma ci diamo una mano, in piena… Corcondiola.
Di fronte al balcone di casa sua c’è un albero bicolore, lo so perché ci ha mandato una foto, ma non so che albero è.
È molto bello però. Peccato quel cartellone bluette sullo sfondo con la scritta “prezzi ribassati”.
Contraddizioni cittadine, come ce ne sono dappertutto.
Anche Rosy mi sembra bicolore.
Il tappetino su cui si sdraia è più rosso dell’incendio di un sole al tramonto mentre spesso la sua tenuta da lavoro è nera come la notte che segue.
Un bel contrasto.
Quando ci siamo video-chiamati (che brutto neologismo), in preparazione di questo incontro, aveva indosso una t-shirt di un rosso rovente il cui simbolo al petto, ma forse Rosy lo sa, si rifà a una scena più che famosa di “Ultimo tango a Parigi”.
Scena, appunto, torrida assai.
Ma veniamo a noi e alla nostra conversazione.
Intervista di un “Terrone Feldenkraista” ad un “Polentone Feldenkraista”…
Il Feldenkrais o lo ami o lo odi
La prima domanda è quasi obbligata. Come e quando ti sei avvicinata al Feldenkrais? L’hai conosciuto tramite Roberta frequentando i suoi Corsi Feldenkrais a Roma Montesacro?
Sono più di dieci anni che conosco il Feldenkrais. Roberta mi aveva invitata a un incontro che faceva qui a Milano, cercando di diffondere tra gli studenti questa disciplina, stile cavie per intenderci.
Mi ricordo che ci sono andata una volta e mi sono detta “mai più in vita mia perché è una cosa così noiosa (Rosy dice “pallosa”) non esiste”.
Poi Roberta mi aveva detto di provarci ancora e per amore suo ci sono ritornata, ma non faceva per me: è troppo una palla (stavolta lo scrivo). Ho piantato tutto e non ci ho più pensato.
E com’è che hai cambiato idea?
Perché durante la quarantena Roberta mi ha mandato un messaggio invitandomi a partecipare di nuovo con gli allievi di Roma.
E va be’, io ero qui in casa e non avevo niente da fare dalla mattina alla sera e ho pensato di riprovare.
Diciamo che le ho dato fiducia perché per me Roberta è una persona fa-vo-lo-sa (scandito), fanta-favolosa, tuttavia anche la prima volta che ho fatto lezione con voi per me è stato un po’ noioso, quasi una barba!
Poi invece ho pensato: “però che noia (Rosy dice “palle”) però funziona, funziona davvero” e adesso il Feldenkrais mi ha conquistato…
Fidarsi o non fidarsi… io direi .. provare per credere
…non so se scriverò “però che palle”!
Volevo dirti che è stato istruttivo leggere quello che scrivi sul blog, perché scrivi molto, scrivi bene e con entusiasmo.
Questa in realtà è una delle ultime domande che dovrei farti.
Hai scritto “Io vado sulla fiducia, se tu (Roberta) ci chiedessi di mettere mani giù e piedi per aria ci proverei comunque”.
Vuoi per favore spiegare il senso di questa fiducia.
Scrivi pure “che palle”, ormai è un’espressione accettata e rende meglio l’idea al posto di “noiosa”.
Conosco Roberta da tantissimi anni, da prima che venisse giù a Roma e ripongo in lei Fiducia piena.
Qui a Melzo faceva massaggi, trattamenti shiatsu e corsi sul Respiro e di Automassaggio : la prima volta che sono andata da lei ero piegata in due e quando sono uscita dal suo studio stavo bene.
Per me era ed è una specie di faro, era bravissima. Poi a Roma è diventata ancora più brava e dunque ecco il perché della mia fiducia.
È una persona sincera, competente, è professionale, paziente, sa fare il suo lavoro e cosa c’è di più di questo…
…mi fa sorridere il fatto che dici che a Roma è diventata più brava, detta da una milanese…
…eh, ma anche la Roberta è di Milano…
Usare la pancia o usare la ragione, gran bel dilemma
La frase, molto bella, che hai scelto per la nostra compilation sonora è di Madre Teresa di Calcutta.
Cui hai aggiunto di tuo “ogni nostra azione se la facciamo con il cuore e la testa insieme può fare la differenza”.
Sono pienamente d’accordo.
Tuttavia perché hai voluto aggiungere questa tua considerazione ad una frase già di per sé così intensa?
Perché con quella frase Madre Teresa, per carità una persona straordinaria, dice facciamo le cose, facciamole adesso e subito senza pensare a ciò che è rimasto indietro o a quello che potremmo fare domani.
Per me è un incitamento a prendere in mano la propria vita adesso e ad usarla ora, per tutto quello che puoi fare e fare bene.
Però dal mio punto di vista, poiché molte volte senti dire che “le cose bisogna farle col cuore” oppure, al contrario, “ah se tu ci mettessi la testa invece di usare solo il cuore” …insomma secondo me non c’è logica in questo.
Si dovrebbe, per come la vedo io, ragionare e pensarci su un momento, riflettere e poi agire con tutto l’entusiasmo e l’energia di cui sei capace, perché pensi che quella cosa lì è bella ed è da fare ma è da fare con tutta te stessa, cuore e testa compresa.
In questo modo le cose cambiano prospettiva e se cambiano per te possono cambiare anche per gli altri…
…ed è differente dal fare le cose, diciamo, per istinto?
…sì perché se non ci ragioni non è detto che la cosa possa andare bene per te. Se ci pensi invece le cose le scegli, se lo fai per istinto non fai differenza sulle cose da fare…
…magari può andar bene come può andar male…
…però se ci pensi su, facendo le cose in modo ragionato ti prendi anche i rischi di quello che fai, valuti le conseguenze, le condizioni, le circostanze.
In ogni caso prendi sia il buono sia il cattivo ancora prima di farlo e lo sai. Poi ti ci butti e la fai. Ma sai già a cosa vai incontro e quanto potrebbe costarti.
È così in effetti. All’inizio delle nostre lezioni on line dicevi di “avere problemi con la linea”.
Qualche giorno fa mi hai stupito illustrando un metodo informatico audio/video che ti ha permesso una partecipazione ottima.
Insomma stai facendo di tutto per stare con noi al meglio delle condizioni possibili…
…è che ho un computer vecchio, dovrei cambiargli la scheda audio. Poi durante la quarantena il problema era uscire e magari mi facevano la multa perché ero uscita senza autorizzazione.
Allora mi sono industriata e ho trovato quel sistema lì, con doppio dispositivo. In pratica utilizzo il microfono del cellulare e il video del computer…
…intendevo che fai le cose per stare al meglio delle condizioni possibili con noi…
…questo sempre, lo do per scontato. Devo dire che anche con voi… insomma all’inizio mi sono detta “bah, però che persone strane… non strane ma parecchio diverse da me”.
Poi invece vi ho conosciuto meglio durante le lezioni ed adesso vi apprezzo moltissimo; il nostro è un bel gruppo, con persone diverse ma complementari fra loro, mi piace molto.
FELDENKRAIS …. solo una attività o anche uno stile di vivere il corpo
Quando Roberta ci ha chiesto cosa vorremmo che il Feldenkrais ci permettesse di fare, tu hai scritto “voglio fare l’anfora senza far fatica”.
Cos’è questa cosa e perché vuoi fare proprio l’anfora?
È una figura che facciamo sul ghiaccio, passando prima dalla figura “ad angelo” (in cui si sta su di una gamba sola, tirando su ed indietro l’altra, con il busto orizzontale al ghiaccio).
Da questa posizione si passa all’“anfora”, che vuol dire tirarsi su con il busto prendendo la gamba dietro con la mano, ovviamente restando sempre solo su di un piede: non è facile per niente, se non si è snodati di natura si fa una fatica incredibile.
Ecco, io vorrei tanto riuscire ad essere così mobile e flessibile da poter prendermi la gamba dietro come fanno le ragazze di vent’anni, e io ne ho ben di più, senza problemi…
…ma tu l’hai visto il film “Tonya”, la storia di una pattinatrice piuttosto controversa, ti è piaciuto?
Sì certo, l’ho visto due o tre volte, sicuro che mi è piaciuto, mi è piaciuto molto.
Tu sei una delle ragazze, in realtà siete quasi tutte così e vi invidio per questo, che riesce sempre a dare un ritorno a Roberta sulle attività che facciamo.
Per esempio, hai scritto “tentare la coordinazione tra dita dei piedi e caviglie mi ha risvegliato la sensibilità plantare”.
A cosa ti riferivi?
È vero, mi riferivo al “mettere insieme movimenti diversi”, pensandoci ovviamente.
Perché quello che ci fa fare Roberta è pensare di visualizzare le ossa nelle nostre articolazioni.
Cioè facendo fare alle caviglie un movimento contrario a quello che si stava facendo, in quel preciso momento, con le dita dei piedi.
A me c’è voluto un po’ di tempo per capire come fare, però quando mi sono rimessa in piedi sentivo di più il contatto con il terreno, avevo una sensibilità sotto i piedi che prima non immaginavo nemmeno.
Il risultato è stato che mi sentivo più diritta ed in equilibrio, una gran bella sensazione.
Ti posso dire anche che quando una lezione mi piace e la sento utile, me la riscrivo tutta, è un’abitudine che abbiamo sul ghiaccio.
Nel tuo spazio-palestra metti a terra un tappetino rosso e, sullo sfondo, una bella libreria. Lo so che non c’entra con il Feldenkrais ma sono curioso.
Di solito cosa leggi, cosa ti piace?
Guai a chi tocca la mia libreria… comunque a me piace leggere di tutto.
Adesso sto leggendo dei gialli, un libro di fantasy. L’avevo visto sullo schermo e poi sono andata a comprarmi il libro, una cosa che faccio spesso.
Poi mi sto rileggendo un libro sulla storia d’Italia, un saggio sulla seconda guerra mondiale.
Comunque, in confronto a te e agli altri io sono una dilettante, voi siete metodici mentre io leggo tutto quello che mi capita.
Per esempio, adesso sto leggendo un libro che in realtà non mi piace tanto “L’incredibile cena dei fisici quantistici”, sto facendo molta fatica a leggerlo…
…a me il libro sulla cena dei fisici è piaciuto molto, tutte quelle intelligenze intorno a un tavolo, Niels Bohr, Einstein, deve essere stata una meraviglia.
Ma ritorniamo al Feldenkrais.
Hai scritto, dopo una bella lezione “la sensazione era d’essere diventata una specie di mezzaluna”.
E ancora “oggi ho provato a fare la presa incrociata ad angelo”.
Premesso che hai una bella fantasia, puoi per favore spiegare queste tue sensazioni?
(Rosy ride di gusto) …in realtà sono tutti termini del pattinaggio. Anzi, mi hai fatto venire in mente che devo scusarmi col gruppo se uso queste figure che magari non vengono comprese.
La presa incrociata ad angelo è come l’anfora, però tu prendi con la mano destra la gamba sinistra e non è per niente facile.
Dopo una delle lezioni con Roberta, mi sono messa lì, ho provato e questa presa mi è venuta bene e senza tanti problemi.
PATTINARE E’ UN PO’ COME VOLARE
Dunque, se non si è ancora capito, tu fai pattinaggio su ghiaccio a ottimi livelli. Sul tuo profilo hai scritto “i pattinatori non sono mai vecchi per essere giovani”.
Tu trovi che fare Feldenkrais ti abbia aiutato, per esempio nello scivolare meglio sul ghiaccio o fare un axel o un toe-loop?
Alla tua traduzione manca “troppo”, quindi: “i pattinatori non sono mai troppo vecchi per sentirsi giovani”, cosa a cui credo moltissimo.
Il toe-loop certo che lo faccio. Quanto all’axel levatelo dalla testa perché è un movimento difficilissimo, non l’ho mai fatto e se non cominci da piccolo difficilmente lo farai da adulto, hai troppa paura.
È un salto da un giro e mezzo ed è preso dal davanti, al contrario di tutti gli altri salti… comunque sì, il Feldenkrais aiuta molto in questa disciplina.
Più equilibrio e conoscenza del tuo corpo hai meglio pattini.
Io penso che voi donne, e tu in particolare, abbiate molta più immaginazione di noi uomini. A questo proposito a volte Roberta, quando gli esercizi sono troppo complessi, ci invita a immaginarli. Tu ci riesci?
Io spesso immagino altre cose. Magari quello che mi dice Roberta al momento non mi è molto chiaro, lo traduco pertanto in altre immagini e le chiedo, e mi spiace interrompere la lezione, “ma se faccio così è uguale”? Insomma, nella mia testa si formano altre immagini ed è come quando leggi e vivi la scena che stai leggendo nella tua immaginazione…
L’IMMAGINAZIONE COME ARTE DEL BENESSERE
…credo che Roberta intenda “immaginare il movimento provando le stesse sensazioni”, direi una fatica virtuale…
…esatto, per esempio l’altro ieri quando ci ha chiesto “pensate di fare il verme”, a me è venuto proprio in mente il vermetto, hai ragione tu, virtuale.
L’ho visto nella mia testa, uguale a quello del giochino che si trova sul computer e ho pensato alla mia schiena e alle mie gambe che facevano la stessa cosa ed è passata attraverso il mio corpo quell’onda o energia che diceva lei.
PILATES E FELDENKRAIS amici, nemici o cugini
Ho letto che hai fatto anche pilates.
Quali secondo te le differenze?
Te lo chiedo perché sul blog hai scritto “…nel pilates ci fanno fare esercizi per arrivare a sentire sempre di più la muscolatura… il Feldenkrais mi fa andare più a fondo con questa coscienza”.
Puoi spiegare meglio per favore?
È un po’ complesso da spiegare.
Ci provo. Pilates l’ho cominciato molti anni fa e continuerò a farlo sempre perché mi ha tolto il mal di schiena.
Ho iniziato perché mi avevano assicurato che m’avrebbe aiutato e così è stato, quindi non lo mollo: è incentrato moltissimo sulla respirazione, come il Feldenkrais, e ti fa utilizzare tutti i muscoli del corpo, anche quelli che spesso sono dimenticati.
Per dirti: dopo le prime lezioni di Pilates ho scoperto di avere dei piccoli muscoli dietro le ascelle che non usavo mai.
Adesso so dove sono, li uso, mi servono. Con il Feldenkrais è come andare più a fondo nella conoscenza del nostro corpo: si passa dal muscolo all’osso che lo sorregge.
Me ne sono resa conto quando ho fatto le lezioni, quelle sì di una noia mortale, di pavimento pelvico perché Roberta ci ha fatto focalizzare l’attenzione sulle ossa che sorreggono i muscoli.
Insomma il Feldenkrais approfondisce moltissimo la percezione, aiuta a mantenere vivo il cervello.
I “MOSTRI” DEL FELDENKRAIS
Una volta hai brontolato perché le tue cervicali hanno qualche problema di slittamento a causa di un incidente pregresso.
Poi però hai fatto tutto come niente fosse.
Roberta ha scritto “stiamo facendo un percorso grandioso” e tu hai replicato “stai fabbricando dei mostri di bravura”.
Ci racconti come ti trovi con il gruppo, quali sono le tue sensazioni, quello che ti piace di noi?
Te l’ho detto, con questo gruppo mi trovo benissimo, siete persone molto diverse e mi piace questa differenza. L’unica cosa è che a volte mi verrebbe da dire “allora, dai, ci muoviamo un po’ di più o no?”.
Però questo fa parte della mia natura, non è un discorso di differenze tra Milano e Roma, io ho bisogno di muovermi tanto e certe volte ho paura di essere un po’ invadente.
Gabriella, una delle nostre ragazze mi ha detto una volta, e mi ha molto colpito, che, parafraso ovviamente, uno dei difetti peggiori è quello di pretendere, nel senso inglese del termine “to pretend”, fingere, far finta di avere sempre vent’anni.
Tu pensi che la nostra mente vada dove vuole andare indipendentemente dal nostro corpo? O viceversa, ovviamente.
Per me la mente precede l’azione, però se vuoi fare una certa cosa la fai.
Perché è solo questione di allenamento. Poi è chiaro che se il problema è che non posso utilizzare alcune parti del mio corpo, e voglio fare un’attività che le contempla, certo che non posso farlo.
Se mi prefiggo, per esempio, di fare una cosa chiaramente al di sopra o al di fuori delle mie possibilità, ovviamente andrò incontro ad una sconfitta.
Per dire, io ho cominciato a fare pattinaggio di figura già da grande, quando tutti mi dicevano che non sarei andata da nessuna parte.
E invece tuttora sto imparando cose nuove e più stimolanti: il nostro cervello ci permette comunque di superare i nostri limiti, sempre, anche quando siamo vecchi.
CHI SIAMO VERAMENTE – “CIO’ CHE VORREMMO O CIO’ CHE DEFINISCONO GLI ALTRI”
Volevo farti una domanda un po’ inconsueta, e lo chiedo perché mi sembra tu sia molto attenta e profonda.
Premesso che io penso che noi siamo quello che gli altri vedono di noi, tu credi che in qualche modo si è percepiti come noi crediamo di essere oppure che gli altri ci vedano come non avremmo mai pensato di essere o non vorremmo essere?
Non lo so, non ci ho mai pensato e devo dire che quando ero giovane riflettevo molto su come gli altri mi vedevano, per far arrivare a loro quello che io ero veramente.
Poi, man mano che gli anni passavano, non è che ho cominciato a dar meno importanza alla cosa: mi sono proprio imposta di dare poco rilievo a quello che pensano gli altri di me.
Uno ci mette quasi una vita a diventare quello che è e se piaccio alle persone va bene, se non piaccio va bene lo stesso.
Visto che il tempo passa ed è la cosa più preziosa che abbiamo, una variabile indipendente da noi, non mi va di spendere tempo con chi mi vede diversa da quella che sento di essere.
Per me è importante vivere al meglio che posso, in modo tale da potere essere utile a me stessa e agli altri.
Se questa cosa viene percepita dagli altri bene, altrimenti pazienza!
Pensa che ci ho messo tantissimi anni a capire che da sola non posso salvare il mondo.
Se ti guardi intorno vedrai che tantissime persone intorno a noi hanno il complesso della Nightingale, cioè vogliono salvare sempre tutti.
Ho capito che in realtà questa cosa non è possibile, noi possiamo aiutare ma non tutto, o quasi niente, dipende da noi.
Ma questo a volte ti mette in una condizione di forza perché ti permette di capire e aiutare di più e meglio.
Il Feldenkrais aiuta proprio nelle cose di tutti i giorni.
Noi non prestiamo mai molta attenzione alle cose che facciamo, le facciamo in automatico, per istinto. Tu pensi che il Feldenkrais possa aiutarci in una nuova consapevolezza? Fare cose nuove senza pensarci troppo?
Certo che ci aiuta, l’ha fatto proprio l’altro ieri.
Molto banalmente mi sono ritrovata a mettere a posto le spalline del mio reggiseno sportivo che erano messe al contrario.
Mi sono trovata a fare un gesto che per me, fino a un mese fa, era impossibile: ho tirato indietro le braccia ed ho sistemato senza sforzo le mie bretelle e a quel punto mi sono resa conto di aver fatto proprio un bel movimento.
Il Feldenkrais mi aiuta proprio nelle cose di tutti i giorni.
Per esempio, e non è una stupidaggine, quando fai marcia indietro, poterti voltare completamente con la schiena e con le spalle per guardare dietro di te con scioltezza, senza avere dolore è davvero una gran cosa.
Hai scritto ancora “…la muscolatura addominale si è messa in moto senza problemi, da sola, senza sforzo, come se avessi avuto dentro la pancia un secondo cervello che dava le istruzioni giuste…”. O io sono un insensibile oppure non ho capito niente del Feldenkrais. Secondo te?
Perché tu non hai voluto fare le lezioni di pavimento pelvico, che anche se sono noiose ti avrebbero aiutato parecchio.
Dopo una di queste, subito dopo ne ho fatta una di pilates che trattava di stare su con il bacino, di come utilizzare le gambe e fare degli esercizi.
A quel punto quando l’istruttore diceva “alzate il pavimento pelvico”, io mi sono ritrovata con il mio bacino e tutto il resto che seguiva le istruzioni senza alcun problema, andava via liscio come olio, perché avevo in memoria l’insegnamento di Roberta che avevo fatto un’ora prima.
Sono andata in automatico, avendo presente le ossa pubiche, le creste iliache, insomma mi è piaciuta molto.
E GLI UOMINI….. STANNO SCOMPARENDO DAL PIANETA…
Una domanda di rito che faccio a tutte voi. Perché secondo te ci sono così pochi uomini a fare Feldenkrais?
Questa domanda apre un mondo.
Posso dire per esempio che tu, per fortuna tua e nostra, non fai parte di questa categoria di uomini oppressi, schiacciati da una sottocultura molto maschilista (Rosy per fortuna non l’ha notato, ma sono arrossito di fuoco) tale per cui ci sono delle cose che “un vero uomo non fa”.
Un vero uomo non fa danza, non fa danza su ghiaccio, non fa Feldenkrais… figurati, è una roba da donne!
Gli uomini che non hanno una introspezione forte, che non capiscono chi sono, si adeguano molto facilmente a questo pensiero dominante.
L’uomo, vuoi mettere, deve mostrare i muscoli, deve sudare.
Ti ringrazio perché mi ci hai fatto pensare, infatti il Feldenkrais non ti dice di mostrare i muscoli, ti dice di utilizzarli, di utilizzare le tue giunture, le articolazioni e non hai bisogno di mostrare niente a nessuno, li usi e basta.
Mentre spesso gli uomini si ritrovano intrappolati in questa grossa mistificazione di mostrare sé stessi, i propri muscoli, se no che uomini sono?
POSSIAMO DIVENTARE TUTTI UN PO’ ZANARDI…
Per ultimo davvero. Hai scritto “che soddisfazione provare movimenti nuovi e strani, pensare che non ce la farai mai e poi invece ce la si può fare”.
In questo momento non posso non pensare ad Alex Zanardi e alla sua determinazione, una persona straordinaria a dir poco.
Ti chiedo, è sempre così oppure, come dice anche Sissi, secondo te per quanti sforzi facciamo ci sono alcuni traguardi che non è possibile raggiungere?
Per Zanardi spero davvero che torni a star bene e si rimetta presto.
Quanto ai nostri limiti non sono propriamente d’accordo. Lasciami dire ancora una cosa.
Io mi sono messa a fare gare quando avevo sessant’anni e quello che mi sono sentita dire è che noi gareggiamo non per andare sul podio, ma per la soddisfazione di partecipare.
Io non sono mica d’accordo. Nel senso che se mi metto a gareggiare mi piacerebbe vincere. O meglio, usando la testa e conoscendo i propri limiti – anche se io vorrei andare oltre i miei limiti – io gareggio per non perdere, il che è diverso.
Gareggio per arrivare più in alto che posso e dunque non per perdere.
Se arrivo sul podio bene altrimenti non ne faccio un dramma, ovvio, non vivo solo per pattinare.
Quando ho fatto il meglio di quello che so fare adesso, sono contenta. Sono convinta che comunque con l’allenamento, provandoci sempre, con costanza e soprattutto se hai voglia di fare una cosa, alla fine ce la fai.
Magari non l’otterrai con quella perfezione che vorresti, perché non sei più giovane e non hai più i muscoli allenati… chi diceva “volli, sempre volli, fortissimamente volli”? Vittorio Alfieri…
…sì, quello che si è legato a una sedia per non smettere di studiare…
…è un’immagine che da piccola mi ha colpito moltissimo. Ovviamente io devo tener conto di tutto, ma se voglio arrivare in un determinato posto, prima o poi ci arrivo, magari con calma, dopo gli altri ma ci arrivo comunque…
…sempre per citare Zanardi “quando hai superato il tuo limite, resisti ancora cinque secondi e vincerai”, che trovo bellissimo…
…è vero, ma sai quante volte me lo sono ripetuto durante le gare? Per esempio, io devo finire per forza i libri che ho letto, anche se non mi piacciono…
ROSY – GIUSY – MARIANNA…. LEI E’ SOLO LEI
…io invece sono d’accordo con Pennac sul diritto di un lettore di lasciare il libro a metà. L’ultimissima, ma Rosy, è diminutivo di quale nome, perché ti sta davvero bene.
A me piace il mio nome, ma quando sono nata io si usavano i nomi doppi e mi hanno chiamato Rosa Maria.
Se mi presento così nel giro di pochissimo se va bene sono Mariarosa, se no divento Giusy, Mariagiovanna. Mi sono perfino sentita chiamare Maria Carlotta.
Quindi dopo qualche anno mi sono detta, sai cos’è? il mio nome me lo scelgo io, e allora Rosy. Tutt’al più se va male mi chiamano Giusy, ma va beh…
…la nostra conversazione è finita.
Quello che mi colpisce in Rosy è questa sua caparbietà sulla necessità di provare, provare e ancora provare, superare i propri limiti e qualsiasi risultato otteniamo non è poi così importante.
Ma un risultato, qualsiasi esso sia, deve essere ottenuto.
Un traguardo raggiunto. “Non si gareggia per partecipare ma per non perdere”.
Una frase che mi piace moltissimo.
Guardando lo schermo del tablet dal quale abbiamo fatto questa intervista, sono stato catturato da un quadro alle sue spalle, due rose.
Una grande e una più piccola su sfondo scuro. E mi è venuto in mente quello che si dice di questo fiore, stat rosa pristina nomine… che io intendo un fiore, una rosa esiste da prima ancora che qualcuno gli abbia dato un nome.
Che c’entra questo? Non so, forse Rosy è così, ha cambiato nome ma lei è sempre la stessa, esuberante, profonda e razionale, emotiva al tempo stesso, nel senso che si emoziona per le cose che fa.
E per dirla tutta non mi sembra poi davvero così milanese, a parte il fatto che chiama Roberta, la Roberta.
Quanto poi ai libri che Rosy legge, che dire, una vera sorpresa. “L’incredibile cena dei fisici quantistici” credevo di averlo letto solo io e qualche ricercatore delle facoltà di Fisica.
Mi ha fatto ricordare il principio di indeterminazione di Heisenberg, uno dei miei preferiti.
Di una particella puoi sapere dove sta ma non quando e in quale momento sta.
Che riportato all’uomo è a mio parere una delle più importanti verità perché ne definisce la sua incertezza, l’incompletezza.
Ed è un valore perché ti permette di modificare sempre il tuo modo di essere per accrescere e comprendere meglio te stesso.
Riporto l’epigrafe di quel libro, Einstein, ovvio: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da farsi. Poi arriva qualcuno che non lo sa e la fa”. Non vi sembra che si adatti perfettamente a Rosy?
Io penso proprio di sì, perché ciò che possiamo fare è sempre molto di più di quello che crediamo di poter fare, direbbe Rosy. Insomma, Roberta ha proprio ragione …sarò banale, ma siamo una squadra fortissima.
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