TEOLOGIA LAICA
Due riflessioni su: PACE – PAZ – PAIX – FRIEDEN – PEACE – FRED – SHALOM
di Roberta Gargiulo ed Eugenio Delaney (Teologo)
Il “leit motiv” di queste mie vacanze estive è stata la parola “PACE” che ha continuato a rimbalzare nella mia testa.
Ho letto su “Ecologia Interiore” una riflessione sulla Pace scritta da Daniel Lumera (Biologo Naturalista), che ha scritto diversi libri sul Benessere. Non amo particolarmente il suo modo di scrivere ma sono una persona molto curiosa e leggo anche ciò che magari non prediligo troppo proprio per cercare di abbattere i miei personali “preconcetti”
Sono andata a cercare il significato di questa parola sul dizionario ed ho trovato questa spiegazione:
- La situazione contraria allo stato di guerra, garantita dal rispetto dell’idea di interdipendenza nei rapporti internazionali, e caratterizzata, all’interno di uno stesso stato, dal normale e fruttuoso svolgimento della vita politica, economica, sociale e culturale.
2. Simbolo di buon accordo e di concordia di intenti ( in quella famiglia non c’è più p. ), di quiete o agio ( lasciare in p. ; potrebbe starsene in p. ), di assenza anche momentanea di dolore fisico o morale ( la malattia, il rimorso, non gli dà p. ), di tranquillità o serenità spirituale ( p. agli uomini di buona volontà ) o anche di calma diffusa e riposante (quel cielo di Lombardia, così bello, quand’è bello, così in pace, Manzoni).
Ovviamente quella per me più interessante è la seconda accezione della parola “pace”, anche perché il primo significato (come il contrario dello stato di guerra) è un tema enorme e ampiamente dibattuto in questo periodo da tanti autorevoli (e non) studiosi, saggisti e giornalisti.
Essere in Pace con se stessi è Stare Bene
“Essere in pace” per me è qualche cosa di profondamente intimo, che cambia il rapporto con me stessa e con gli altri. Non è un dono che qualcuno possiede e qualcun altro no ma una ricerca continua, una attitudine di vita, una scelta consapevole. Ed essendo una scelta, va coltivata, fatta crescere con pazienza e perseveranza.
Per me essere in pace significa sapermi ascoltare ed accudire. Significa andare a ricercare dentro di me le cose che non vanno bene senza attribuire ad altri responsabilità e cose da cambiare.
In pratica essere in pace e tendere verso la pace, significa ridurre la paura che tutti viviamo in ambiti diversi e che spesso non sappiamo riconoscere.
Quando non ci sentiamo in pace, forse nel profondo si agita una sottile “paura” che genera irrequietezza o inquietudine.
Tante inquietudini = Una sola radice
Tante sono le nostre paure ma ce ne sono due che le racchiudono tutte: la paura di vivere e la paura di morire, due facce della stessa medaglia, molto sentite e diffuse nella società contemporanea.
Spesso abbiamo paura di fermarci e di ascoltarci. Di sentire davvero cosa è importante per noi.
Non è un caso, infatti, che durante i diversi lockdown da covid-19 molte persone si sono sentite spaventate, insicure e l’aumento delle vendite di psicofarmaci ne sono una conferma. E’ proprio quando si deve restare con se stessi che cresce il disagio interiore, la paura di vivere o, viceversa, la paura di morire.
La paura di vivere è la paura di essere, di esistere, di amare, di provare emozioni, paura di avere un pensiero autonomo la paura di decidere cosa è meglio per noi e di tagliare con quello che non ci serve più, non è più funzionale alla nostra vita.
Non siamo soli ad avere paura
Alexander Lowen nel libro “Paura di vivere”, afferma come ogni nostro problema sia legato al corpo e che alla base di tutti i problemi vi è la paura di sentirsi vivi, di provare emozioni.
Questo blocco emotivo origina dall’infanzia e dall’educazione ricevuta.
Sin dai primi mesi di vita, il bambino è inquadrato in un insieme di regole educative che possono diventare un limite alle proprie emozioni:
“Non ti devi ribellare, non devi ridere così forte, non devi frignare, non devi…, non devi…, non devi…”.
Quindi la mente impara ad avere la meglio sulle emozioni e sul sentire ma chiede in cambio la rinuncia alla pace e alla felicità. Ecco il perché di tanti corpi che tratto, che sembrano privi di vita, perché non sentono ed è come se fossero congelati.
La paura di morire non è altro che l’altra faccia della stessa medaglia.
La paura di morire non è la paura della fine “fisica” del corpo bensì quella dell’anima, la paura di non-essere.
In tal senso, se la paura di vivere è la paura di “essere visibili”, la paura di morire è la paura di non esistere, di “essere invisibili”.
Antidoto contro la paura: l’Amore
Il desiderio di chi si sente invisibile è quello di “essere riconosciuti”, di essere considerati e di essere apprezzati.
Pensarsi come invisibile ha le sue radici nell’infanzia e nell’adolescenza quando ci viene richiesto di comportarci come “bravi bambini”, “studenti modello”, ma alla fine incapaci di relazionarci con gli altri in modo gratificante.
Io credo che oggi tutto questo sia alla base della tanta rabbia di cui siamo spesso testimoni e dei tanti gesti di apparente follia di cui leggiamo nelle cronache.
Penso sia davvero importante iniziare a fermarsi un attimo a riflettere per provare a prendere, almeno un po’, le redini in mano delle nostre emozioni ingarbugliate che abitano il nostro cuore-
Passo ora la parola a Eugenio Delaney (teologo) che ci aiuterà a buttare a terra qualche mollichina, come ha fatto Pollicino, per ritrovare la strada di casa!
Buona lettura
Roberta Gargiulo
Due riflessioni su: PACE – PAZ – PAIX – FRIEDEN – PEACE – FRED – SHALOM
Shalom di Eugenio Delaney
Grazie Roberta dell’invito a complementare le tue riflessioni sulla pace dal punto di vista della teologia laica (TL).
Il tuo approccio è molto toccante e concreto, frutto non tanto delle letture di libri e articoli o di riflessioni astratte, ma del contatto diretto con te stessa e con tante persone che passano per il tuo studio.
Il mondo delle emozioni e dei sentimenti è molto presente nel tuo approccio, così come lo sono le strategie sbagliate con cui cerchiamo di assicurare il controllo del territorio proprio e altrui.
Soprattutto davanti ai traumi che giustamente ritieni come la sintesi delle problematiche umane: la paura di morire e la paura di vivere.
“Essere in pace”, dici, è qualche cosa di profondamente intimo, che cambia il rapporto con me stessa e con gli altri. Non è un dono che qualcuno possiede e qualcun altro no ma una ricerca continua, una attitudine di vita, una scelta consapevole. Ed essendo una scelta, va coltivata, fatta crescere con pazienza e perseveranza”.
La storia di Pollicino
La storia di Pollicino che ricordi al momento di passarmi la parola mi ispira per la presentazione di un paio di riflessioni su pace e teologia laica.
Da quella fiaba ritengo un elemento particolarmente significativo: mentre tutti i personaggi sono concentrati sui problemi, in concreto il problema della fame, Pollicino si concentra sulla sua capacità per creare soluzioni (i sassolini, le briciole, le corone scambiate, gli stivali tolti allo stesso Orco stanco e addormentato).
Qual’è la scelta che possiamo fare noi davanti alla pace che tutti stiamo vivendo come un problema (intimo, relazionale, sociale, mondiale)?
Pollicino ci invita a non negare né minimizzare le difficoltà, ma a guardare soprattutto alle risorse che abbiamo per risolverle.
La TL fa proprio questo: ci fa scoprire risorse inimmaginabili, di solito assenti nelle considerazioni umane private e pubbliche, anche se profondamente radicate nella storia umana, dalle mitologie antiche, le grandi filosofie, e anche nell’ambito recondito delle persone.
Ci fa scoprire che da quando camminiamo in posizione eretta abbiamo la possibilità di guardare il mondo “in prospettiva”. E di sapere che abitiamo un mondo di tutto rispetto.
La Genesi come ispirazione verso l’Infinito
Già nella mitologia della Genesi, più vicina alla nostra cultura, si esprimeva questa idea alla fine di ogni giorno immaginario della creazione: “e vide Dio che era cosa buona”, cioè cosa seria, cosa ben fatta, perché cosa sua, nella quale Dio ci aveva messo del suo.
Non è che la TL sostenga panteisticamente che Dio sia il mondo, ma sostiene sì che il mondo sia un mondo “divino”, un mondo “da Dio” (Dante non è la Divina Commedia, ma la Divina Commedia è Dante, per intenderci, rispettando le distanze).
Il mondo è “divino” e, pertanto, fondamentalmente giusto, armonico, sicuro, integro, in pace.
Un mondo “Shalom”, come diceva Israele. Ma se guardato “in prospettiva”. Non necessariamente con occhi di fede, ma in chiave di “spiritualità”. Aprendo semplicemente la finestra di casa, e guardando il sole, la luna, le stelle, e quelle meraviglie del profondo cosmo che ci mostra l’astrofisica, o anche sperimentando cose piccole ma tanto significative come un sorriso, un incontro, una conversazione, una fiamma che si accende nel cuore, una camminata in natura, una pedalata tra le montagne.
Si percepisce che il mondo sia qualcosa “altro”, qualcosa “oltre”.
Spiritualità è “senso di appartenenza a quella cosa”. In effetti, Shalom non era solo la descrizione di un mondo completo, sicuro, “da Dio”, ma era anche un saluto, l’invito a sentirsi parte di quel mondo amico.
Questo è il nostro mondo, secondo la TL. Un mondo divino, riflesso del suo Creatore che in esso ha lasciato la sua impronta. Un mondo fondamentalmente sicuro, completo…, amico.
Essere in pace, come scelta di tutti i giorni
“Quando non ci sentiamo in pace, forse nel profondo si agita una sottile “paura” che genera irrequietezza o inquietudine. Tante sono le nostre paure ma ce ne sono due che le racchiudono tutte: la paura di vivere e la paura di morire, due facce della stessa medaglia, molto sentite e diffuse nella società contemporanea”. Così hai scritto tu.
Nei primi anni novanta mi era capitato di fare un corso a Roma all’Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale creato da Luigi De Marchi con un indirizzo basato sulla convinzione che la angoscia di morte fosse la chiave di interpretazione di tutte le patologie psicologiche, e anche economiche, politiche e sociali.
La TL mi ha fatto pensare, invece, che il dramma umano consista piuttosto nella perdita del senso di appartenenza a un mondo divino, di pace, amico.
Siamo nel mondo, ma come stranieri, non integrati.
Usiamo il mondo, e ne facciamo purtroppo un uso abusivo.
Vogliamo possederlo materialmente, magari non condividendo ma concorrendo, e non ci lasciamo possedere spiritualmente dall’universo divino, dal mondo animato, dal mondo che ci parla, ci canta, ci sfama, ci disseta, ci accarezza, ci ama.
Dal mondo ben fatto, dal mondo della pace. Il nostro non è più un mondo “amico”. Forse per questo abbiamo paura di vivere, e di morire nelle sue braccia.
So che questo può sembrare un discorso ingenuo. Ma non vedo alternativa: o un mondo “da dio” o un mondo “da quattro soldi”. Budda, Confucio, Socrate, Gesù, Nelson Mandela, Martin Luther King ci parlano chiaro. E oggi, nei nostri giorni, le ragazze dell’Iran!
Shalom a tutti e tutte.
Eugenio Delaney, TL
TL= Teologia Laica
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