PREMESSE TEORICHE PER LA COMPRENSIONE DELLA MALATTIA E DELLA GUARIGIONE
L’intelletto umano non può capire la vera iniziazione Ma se dubitate e non arrivate a comprendere, sono pronto a discuterne con voi.
Yoka Daishi, “SHODOKA”
Chi è l’autore:
Thorwald Dethlefsen: psicologo e psicoterapeuta di impostazione esoterica, è sempre stato un innovatore e per molti aspetti un provocatore per il suo particolare modo di affrontare i pazienti e i loro problemi. Dethlefsen ha descritto questo suo originale approccio terapeutico in vari libri: Vita dopo Vita, L’esperienza dellarinascita, Il destino come scelta.
In questo quarto libro, scritto in collaborazione col medico Rùdiger Dahlke, Dethlefsen approfondisce il discorso e tocca uno dei punti nevralgici del nostro tempo: quello della malattia e del suo significato, mostrando come la malattia non sia un puro accidente, un disturbo casuale senza perché, ma esprima in ultima analisi gli aspetti repressi, temuti e accantonati (l’ombra…) della propria vita. Non bisogna quindi limitarsi a combatterla: occorre prima di tutto capirla.
Spiegazione del libro:
Partendo dalla constatazione del duplice aspetto della medicina (l’alto livello tecnologico raggiunto e insieme il suo disagio, cui fa eco una crescente sfiducia dei pazienti che si rivolgono sempre più alla medicina naturale), l’Autore osserva come la carenza di base della medicina moderna sia quella di non considerare più l’uomo come un tutto, cioè un’unità inseparabile di corpo e anima, ma un insieme di tanti settori indipendenti da ” riparare ” via via che si guastano.
Indispensabile quindi una medicina olistica, che consideri l’uomo globalmente.
Il concetto di base è questo: il corpo in sé non è ammalato o sano, in lui si esprimono semplicemente le informazioni della coscienza, della psiche. Se queste sono ammalate o mancano di qualcosa, sono indotte a richiamare l’attenzione producendo quelle che noi definiamo malattie. Le malattie sono quindi un’informazione della coscienza che vuol far notare una sua necessità.
È noto del resto che la medicina psicosomatica lavora già da tempo e in larga misura su queste basi.
Per guarire bisogna quindi trasformare la coscienza, integrare ciò che manca, capire le carenze e colmarle.
Dethlefsen non intende sostituirsi alle cure mediche (sia quelle ufficiali che quelle naturali), che tanto spesso hanno effetti benefici: un paziente morto, osserva, non avrà più occasione di capire e quindi di evolversi. Vuole però far comprendere fino in fondo la malattia, interpretarne il significato e integrarlo nella coscienza, perché soltanto così si può arrivare alla guarigione vera, che è fisica, ma è soprattutto psichica e spirituale. Vuole, in altre parole, invitare ad utilizzare la malattia come una ” guida ” capace di rivelare i veri problemi a livello esistenziale: un’alleata quindi, non una nemica; non un disturbo cieco e casuale, ma un mezzo per capire più profondamente se stessi e favorire il proprio cammino evolutivo.
Questo libro è scomodo perché sottrae alla malattia il ruolo di alibi per i nostri problemi insoluti. Il malato non è la vittima delle imperfezioni della natura ma i sintomi patologici si rivelano espressioni fisiche di conflitti psichici e possono smascherare col loro simbolismo il problema centrale del paziente.
Non è un libro ” scientifico ” in quanto non si basa su principi scientifici .
Malattia e sintomi
Noi viviamo in un’epoca in cui la medicina moderna ha raggiunto elevatissimi standard di intervento ma di contro aumenta ogni giorno di più il numero di coloro che vorrebbero affrontare i problemi di salute con maggior consapevolezza e in modo più preventivo e quindi integrano alla medicina tradizionale anche l’omeopatica, l’agopuntura, le erbe , lo shiatsu ecc. ecc.
Se si considerano tutti insieme questi metodi terapeutici non ufficiali, si parla di medicina olistica, una medicina cioè che tiene conto dell’uomo come unità fatta di corpo e di anima. Quasi tutti infatti si sono resi conto che la medicina ufficiale sta perdendo di vista l’uomo in quanto tale.
La medicina moderna non è carente quanto a possibilità di azione: quello che è carente, o manca del tutto, è la filosofia su cui questa azione è costruita. L’azione medica si è finora orientata solo in base alla funzionalità e all’efficacia: la carenza di tutti gli aspetti contenutistici le ha procurato la critica di essere ” disumana “.
In medicina e anche nel linguaggio corrente si parla delle più diverse malattie. Questo disordine linguistico mostra molto chiaramente il vasto malinteso che accompagna il concetto di malattia. Malattia è una parola che si dovrebbe in realtà usare soltanto al singolare, il plurale malattie è privo di significato come il plurale di salute. Malattia e salute sono concetti al singolare in quanto si riferiscono a uno stato dell’uomo e non, come oggi si usa dire, a organi o parti del corpo.
Il corpo non fa niente di sua propria iniziativa, cosa di cui ci si può facilmente convincere osservando un cadavere. Il corpo di un uomo vivo deve la sua funzionalità proprio a quelle due istanze immateriali che noi in genere chiamiamo coscienza (anima) e vita (spirito).
Poiché la coscienza costituisce una qualità non materiale, autonoma, non è naturalmente un prodotto del corpo e non dipende dalla sua esistenza.
Qualunque cosa avvenga nel corpo di un essere vivente, è espressione di un’informazione corrispondente, ovvero condensazione di un’immagine corrispondente, di un’idea.
Quando le varie funzioni del corpo interagiscono in un determinato modo, si crea un modello che noi sentiamo armonico e che perciò chiamiamo salute. Se una funzione esce dai binari, mette più o meno in pericolo tutta l’armonia e noi parliamo allora di malattia.
Malattia significa dunque sparizione dell’armonia o la messa in discussione di un ordine che fino a questo momento era stato in. Il turbamento dell’armonia avviene però nella coscienza sul piano dell’informazione e si limita a mostrarsi nel corpo. Il corpo è quindi il piano di espressione e realizzazione della coscienza e quindi anche di tutti i processi e i mutamenti che avvengono nella coscienza.
Quindi se una persona nella sua coscienza viene a mancare di equilibrio, questa situazione diviene visibile e sperimentabile nel corpo. Di conseguenza sarebbe fuorviante affermare che il corpo è ammalato – solo l’uomo può essere ammalato -, però questo male si rivela nel corpo sotto forma di sintomo.
I sintomi sono tanti, però sono tutti espressione del medesimo evento, quello che noi chiamiamo malattia e si verifica sempre nella coscienza di una persona.
La differenza concettuale tra malattia (piano della coscienza) e sintomo (piano fisico) fa si che il nostro modo di considerare si discosti alquanto dall’abituale analisi dei processi del corpo e si avvicini piuttosto al piano psichico, che ancora oggi è familiare a ben pochi.
Se nel corpo di una persona si manifesta un sintomo, questo attira più o meno l’attenzione su di sé e spezza sovente in modo brusco la continuità della vita. Un sintomo è un segnale che calamita attenzione, interesse ed energia e mette quindi in discussione tutta la normale esistenza. Noi percepiamo il sintomo come un disturbo che vogliamo far sparire al più presto. L’uomo non vuole avere disturbi e in questo modo comincia la lotta contro il sintomo.
Dai tempi di Ippocrate la medicina ufficiale cerca di convincere l’ammalato che un sintomo è un fatto più o meno casuale, la cui causa è da ricercarsi nei processi funzionali, che ci si sforza tanto di studiare. La medicina ufficiale evita con cura di interpretare il sintomo e toglie quindi importanza sia al sintomo stesso che alla malattia. In questo modo però il segnale perde la sua autentica funzione: i sintomi si sono trasformati in segnali insignificanti.
Per capire meglio facciamo un paragone; un’automobile possiede diverse spie che si accendono soltanto quando un’importante funzione dell’automobile non funziona più come dovrebbe. Nonostante il nostro comprensibile malumore sarebbe però sciocco prendercela con la spia: in fondo ci informa di un processo che altrimenti non saremmo stati capaci di individuare tanto presto, perché si svolge in una zona a noi ” invisibile “.
La spia accesa ci induce quindi a chiamare un meccanico, così che dopo il suo intervento la spia rimanga spenta e noi possiamo proseguire tranquillamente il nostro viaggio. Sarebbe però un grosso guaio se il meccanico si limitasse ad eliminare la lampadina che ha fatto accendere la spia. La spia in questo caso sarebbe spenta – e questa era una cosa che desideravamo – È più ragionevole riparare il guasto che eliminare la spia. Per riparare il guasto occorre analizzare tutto il motore per renderci conto di che cosa non è in ordine. Era questo che la spia accesa voleva indurci a fare.
Il sintomo corrisponde in pieno alla spia della nostra automobile. Qualunque cosa si manifesti nel nostro corpo sotto forma di sintomo, è espressione visibile di un processo invisibile, di qualcosa che non è in ordine e che quindi dobbiamo analizzare. Anche in questo caso sarebbe sciocco prendersela col sintomo, e sarebbe addirittura assurdo volerlo eliminare rendendo impossibile la sua manifestazione. Il sintomo non deve essere represso, ma reso superfluo. Per ottenere questo, bisogna però distogliere lo sguardo dal sintomo e concentrare l’attenzione più in profondità, se si vuol capire quello che il sintomo vuole indicare.
Il problema della medicina ufficiale consiste proprio nell’impossibilità di fare questo passo, essa è troppo affascinata dal sintomo. Per questo mette sullo stesso piano sintomo e malattia, è cioè incapace di separare forma e contenuto. Così tratta con molta attenzione e abilità tecnica organi e parti del corpo, ma mai la persona che è ammalata. Cerca in tutti i modi di impedire la manifestazione dei sintomi, senza chiedersi che cosa ci sia sotto i sintomi.
In ultima analisi il numero dei malati non è affatto diminuito da quando è stata sviluppata la moderna medicina scientifica.
Da sempre gli ammalati sono tanti, solo i sintomi si sono trasformati. Con le statistiche si cerca di velare questo fatto sconcertante, ma le statistiche si riferiscono soltanto a determinati gruppi di sintomi. Si annuncia con orgoglio la vittoria sulle malattie infettive, senza dire però quali altri sintomi si siano moltiplicati per importanza e frequenza in questo stesso periodo.
Una valutazione è seria solo quando invece dei sintomi considera ” lo stato di malattia in sé “, e questa condizione non è mutata finora e certamente non muterà neppure in futuro.
La malattia ha profonde radici nell’essere umano, profonde come quelle della morte e non sarà certo con qualche espediente funzionale che sarà possibile toglierla di mezzo. Se si capisse la grandezza e la dignità della morte e della malattia, ci si renderebbe conto di quanto siano ridicoli i nostri sforzi per combatterle. Naturalmente ci si può proteggere da questa disillusione considerando morte e malattia semplici funzioni, in modo da poter continuare a credere alla propria grandezza e potenza.
Riassumendo: la malattia è uno stato dell’uomo, indicante che l’uomo nella sua coscienza non è più in ordine, ovvero in armonia.
Questa perdita dell’equilibrio interiore si manifesta nel corpo sotto forma di sintomo. Il sintomo segnala che noi siamo malati come uomini, come esseri spirituali, cioè siamo finiti fuori dall’equilibrio delle nostre forze interiori.
Il sintomo ci informa che qualcosa ci manca, che qualcosa non va. ” Cosa c’è che non va? “, si chiedeva un tempo all’ammalato, che però rispondeva sempre indicando quello che aveva: ” Ho dei dolori “. Oggi la domanda è più diretta e si chiede subito: ” Che cos’ha? “. Queste due domande polari, ” Che c’è che non va? ” e ” Che cos’ha? “, sono molto istruttive, a ben considerare. Entrambe sono rivolte a un ammalato. Un ammalato ha sempre qualcosa che non va e questo qualcosa è nella sua coscienza; se tutto andasse bene sarebbe sano, cioè integro e perfetto. Se invece qualcosa non va, è ammalato. Questo stato si rivela nel corpo come sintomo, un sintomo che si ha.
Così quello che si ha è espressione di quello che non va, di quello che manca. E questo qualcosa manca sempre a livello di coscienza, per questo si ha un sintomo.
Una volta che l’uomo ha capito la differenza tra malattia e sintomo, cambia di colpo il suo atteggiamento e il suo rapporto con la malattia.
Non considera più il sintomo il suo maggior nemico, né si pone lo scopo di combatterlo e distruggerlo; al contrario scopre nel sintomo un compagno, che può aiutarlo a scoprire cosa gli manca e a superare la malattia vera e propria. La malattia ha soltanto un fine: farci guarire.
I nostri sintomi hanno cose più importanti da dirci del nostro essere persone, perché sono partner più stretti, più intimi, ci appartengono totalmente e sono gli unici che ci conoscono davvero.
Questo crea una sincerità che non è facilmente sopportabile. Il nostro migliore amico non oserebbe mai dirci in faccia la verità in modo così diretto e sincero, come fanno sempre i sintomi. Non fa quindi meraviglia il fatto che abbiamo dimenticato il linguaggio dei sintomi, perché si vive meglio se non si è sinceri fino in fondo!
Tuttavia non basta non ascoltare e non capire per far sparire i sintomi. In qualche modo ci occupiamo sempre di loro. Se abbiamo il coraggio di ascoltarli e di entrare in comunicazione con loro, diventano dei bravissimi maestri sulla via che porta alla vera guarigione.
Dicendoci che cosa in realtà ci manca, facendoci capire ciò che dobbiamo consapevolmente integrare, ci danno la possibilità di rendere i sintomi stessi superflui grazie a processi di apprendimento e consapevolezza. Qui sta la differenza tra lotta alla malattia e trasmutazione della malattia.
La guarigione nasce soltanto da una malattia trasmutata e mai da un sintomo vinto, perché la guarigione presuppone che l’uomo diventi più sano, cioè più integro, più perfetto.
La nostra critica si rivolge sia alla medicina naturale che a quella ufficiale, in quanto anche la medicina naturale cerca di produrre ” guarigione ” attraverso processi funzionali, cerca di impedire le malattie e parla di vita sana.
La malattia non è un disturbo casuale, e quindi sgradito che ci coglie per strada, la malattia è anzi la strada sulla quale l’uomo può incamminarsi verso la salvezza.
Quanto più consapevolmente consideriamo la strada, tanto meglio ‘potremo raggiungere la meta. Il nostro scopo non è combattere la malattia, ma utilizzata: per poterlo fare però dovremo prendere le misure da più lontano.